Spunti di riflessione dal Discorso alla Città 2024
Che significato hanno per noi le parole? Ci capiamo ancora quando usiamo le parole? E quando leggiamo o ascoltiamo la Parola? Ho ascoltato e riletto il Discorso alla città, che tradizionalmente l’Arcivescovo di Milano pronuncia nella festività di Sant’Ambrogio, e alla fine le parole chiave usate nel testo hanno assunto per me un significato più pieno e più ampio mi si è aperto un ventaglio di riflessioni e di possibilità di guardare al prossimo anno giubilare con un respiro più profondo e meno affannato.
…come pecore senza pastore…
C’è una stanchezza generale che attraversa ogni luogo e ogni momento del nostro tempo. La gente è stanca, stanca del lavoro inteso come denaro, stanca di correre come su un tapis roulant col fiatone ma sempre fermi nello stesso punto, stanca di una politica che è solo battibecco e non amministrazione della ‘polis’ per il bene di tutti, stanca di una ‘comunicazione spazzatura’ che genera il pensiero di un infinito unico cattivo presente senza futuro, stanca di un mondo che ci vuole padroni e non custodi della terra e della vita, stanca di girare continuamente sulla giostra di un divertimento incapace di assaporare l’autentica festa. E la gente siamo noi, sono io
Troppi falsi pastori cercano di condurci più o meno occultamente, restringono il nostro guardo, impedendoci di contemplare, ci forniscono un universo di informazioni, appiattendo il nostro pensare, sbandierano la parola libertà, svuotata di significato e presupposto per vedere nell’altro un ostacolo alla propria corsa.
“Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla” (Sal 22)
Ecco che all’inizio del Discorso l’Arcivescovo ci spiazza, invitandoci al riposo nel Signore, unico vero pastore. Già nella sua ultima lettera pastorale l’invito al riposo era pressante.
Ma la vita, il suo ritmo ben costruito che fatica ad accettare e a inserire l’imprevisto di ogni tipo, si impone: come si fa a riposare quando gli impegni assunti sono tanti, quando il tempo corre via, quando le proposte presuppongono la partecipazione, quando sono pochi i servi per molti padroni, quando… Come faccio a restare ozioso con più parrocchie da seguire, con un lavoro da cui dipendono in tanti, con una famiglia da accudire, con gli anziani da non lasciar soli, con infiniti altri ‘con’ …
“su pascoli erbosi mi fa riposare”
Come pecore con lo sguardo sempre verso il basso, ci si accontenta della poca erba secca dei pascoli già calpestati, per paura di perdere il nostro poco, mentre il Signore ha pronti per noi ‘pascoli erbosi’. Rischiamo di affannarci e di subire la vita, perpetrando comportamenti obsoleti, privi di contenuto, non vediamo più la meraviglia di quanto ci è stato donato dalla creazione, non ci stupiamo più di quanta bellezza di quante possibilità di bene abbiamo intorno e in noi. Ecco come intendere il riposo sul pascolo erboso, ecco come far riposare la terra: alzare di nuovo lo sguardo verso l’alto, riposare nel settimo giorno perché della meraviglia della creazione e di noi stessi siamo custodi e non padroni ed Egli ‘mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome’.
In questo riposo senza ozio si pone il senso dell’anno giubilare che affonda le radici nell’Antico Testamento, quando il suono dello ‘Yobel’, un corno d’ariete, dava inizio ad un tempo speciale, in cui si ripartiva da capo, si riscopriva la fratellanza originaria, si perdonava, si azzeravano i debiti, si ravvivava l’alleanza con il Signore. A tal proposito l’Arcivescovo parla di una esercizio di responsabilità matura nel restituire le ricchezze a tutti i livelli, per far riposare tutti, cioè nel togliere l’affanno e lo spettro di un futuro buio e senza speranza. Si tratta anche qui di un senso di responsabilità che presuppone consapevolezza di vera fratellanza, coscienza del bene comune, sensatezza delle decisioni da prendere, giudizio libero da ogni paura.
..’ungi di olio il mio capo, il mio calice trabocca’
Ma il nostro capo è comunque unto da Dio stesso, viviamo sì un periodo di ‘crisi socio-ambientale’, come la definisce l’Arcivescovo, ma abbiamo anche il calice pieno di capacità per affrontarla, riposare significa ascoltare il lamento o l’urlo di ogni umanità ferita, significa raccogliere le forze per rialzarci e contrastare la povertà di ogni genere, ridare dignità dove si è persa, curare la terra come dono prezioso.
Naturalmente il Discorso è molto più ricco di queste semplici riflessioni e le sollecitazioni sono molto concrete, sono un richiamo forte, se pensiamo che è indirizzato soprattutto alle istituzioni, alla presunzione umana di avere il potere su tutto e un invito a recuperare il senso della gratitudine e della comunione. La stanchezza che si percepisce in tutti i campi, rischia di oscurare la speranza, motore della vita buona e costruttrice di convivenza rispettosa e quindi di pace. Delpini non si sottrae ad elencare passi concreti e quotidiani, perché la speranza ‘nasce anche grazie alla assunzione di responsabilità individuali e collettive’.
“Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita”
Dunque un’ottima lettura da meditare e da rileggere accostata alla vita di ciascuno di noi.