Don Matteo ci racconta
Sono trascorsi 5 mesi da quando, su richiesta del Vescovo, il mio servizio pastorale ha avuto una svolta particolare, passando dalla pastorale giovanile della Valceresio a diventare Cappellano della Casa Circondariale (Carcere) di Varese.
Un cambio drastico, anche se come più volte mi è capitato di dire, “purtroppo” continuo ancora a fare “pastorale giovanile” … dove il “purtroppo” non è dovuto al fatto che non mi piaccia stare con i giovani, anzi! Ma piuttosto all’alto numero di giovani presenti in carcere! La maggior parte della popolazione carceraria di Varese ha un’età compresa tra i 18 e i 40 anni.
Quello di Varese è un carcere piccolo, arriviamo massimo a 100/109 detenuti … anche se i posti dichiarati sono 53!!! Come in quasi tutte le carceri d’Italia il problema del sovraffollamento, unito alla carenza del numero di Agenti di Polizia Penitenziaria, rende l’ambiente poco capace di svolgere una funzione educativa. Questa piccolezza che caratterizza il Carcere di Varese, insieme all’impegno di quanti qui sono chiamati ad operare, rende l’ambiente “famigliare” e il clima “respirabile” (il personale che lavora nel carcere conosce tutte le persone detenute per cognome! Non sono numeri!).
Tutto questo mi ha permesso di entrare in un ambiente certo segnato da grandi ferite ma anche ricco di umanità sia da parte di chi si trova recluso sia di chi qui vi lavora.
Ciò che occupa la maggior parte del mio servizio è l’incontro e l’ascolto delle persone detenute (essendo una Casa Circondariale, cioè un carcere dove vengono condotte le persone appena arrestate e in attesa di essere processate, è un carcere che vede un grande passaggio di persone). Questo ascolto è luogo di accoglienza e di umanità. È ascolto e incontro con tante ferite, tante solitudini, tante povertà materiali e umane che hanno segnato la vita di molti e che poi si sono rivelate “cause scatenanti” di una vita preda di dipendenze e di reati. Tutto questo non giustifica una condotta sbagliata, e ritengo che un compito del cappellano sia anche quello di aiutare la persona arrestata a riconoscere i propri errori e soprattutto le motivazioni che hanno condotto a compiere certe azioni; nello stesso tempo però non si può non uscire segnati da certe storie e spesso mi trovo a pensare «se fossi stato io nei suoi panni, chissà che non avrei combinato forse anche di peggio…». In questi colloqui si cerca poi di aiutare i detenuti a riconoscere anche le proprie capacità, le proprie bellezze che sono il punto di forza su cui lavorare per rilanciare una nuova vita! Questo servizio di incontro e di ascolto è fatto a 360°, con chiunque voglia parlare, indipendentemente dalla religione di appartenenza … e spesso, a partire da questo dialogo umano, nasce anche la condivisione della propria fede, la richiesta di una Confessione, anche la richiesta del Battesimo.
Come prete ho anche il compito di celebrare la messa domenicale all’interno del Carcere. Questo è un momento atteso e veramente “bello”. Vi partecipano una trentina di detenuti, accolti e sostenuti dall’Associazione dei Volontari che contribuisce ad animare la Messa e a renderla un momento di vera fraternità. Personalmente devo dire che leggere il Vangelo da dentro il carcere, incrociandolo con la vita dei fratelli qui incontrati, ha tutto un altro sapore! In modo unico ne emerge la portata di “Buona Notizia” e i gesti di Gesù, compiuti soprattutto verso gli ultimi, hanno qui una potenza molto più forte che in altri contesti.
Tutto questo mi porta a ringraziare il Signore e la Chiesa per avermi chiamato a svolgere qui un tratto del mio ministero perché sono convinto che questo servizio sia anzitutto dono per me e responsabilità verso chi vive dentro e fuori dal carcere.
Ci potrebbe essere molto altro da raccontare … sia lo specifico delle ferite incontrate, che la preziosità dell’operato dei volontari, autentiche “porte di speranza” per gli amici detenuti. Le storie di rinascita di alcuni che si trovano a vivere qui, le angosce che accompagnano la fine della reclusione soprattutto se il futuro è quello di essere “senza dimora”, l’incontro con le famiglie spesso provate dalla detenzione di loro parenti e doppiamente vittime, l’operato degli agenti che si trovano a vivere anche loro da “detenuti” cercando di portare luce dentro un sistema che poco lascia trasparire la luce … troveremo altre occasioni per raccontare questo e altro … una parola però penso sia centrale: Non si può parlare di carcere e di detenuti senza entrare in questo mondo