Una comunità capace di diffondere all’esterno quanto sperimenta al suo interno.
Come sarà la Chiesa fra dieci, venti, trent’anni? Come dobbiamo ragionare di fronte al calo della partecipazione alla vita della comunità cristiana? Per poter dare una risposta a queste domande è necessario, in un primo momento, riandare lontano, all’inizio della vicenda cristiana.
Che cosa avvenne all’inizio? Nel popolo d’Israele, in un periodo storico ben preciso, nacque Gesù che con la sua vita annunciò il Regno di Dio, cioè la vicinanza di Dio in mezzo al suo popolo. Gesù raccolse attorno a questo Dio “vicino” le persone che aderivano al suo Vangelo. Dio si era fatto “vicino” a tutti, non soltanto ai giudei, ma anche ai pagani. Non fu un passaggio facile. Ci fu addirittura un Concilio (Atti 15) che esaminò questa questione se accogliere o meno i pagani. Coloro che tra i giudei e tra i pagani aderirono a Gesù, credendo che fosse il Figlio di Dio, erano una minoranza rispetto alla stragrande maggioranza.
Vediamo che la Chiesa non nacque potendo contare sull'appartenenza di tutti. Non nacque neppure con il consenso di tutti.
Noi oggi, quando pensiamo alla nostra Chiesa, dobbiamo ricordare questo aspetto fondamentale, perché la Chiesa è sempre la stessa, la medesima Chiesa di duemila anni fa. Se così non fosse, vorrebbe dire che abbiamo smarrito ciò che ci fa essere Chiesa: Gesù Cristo morto e risorto.
I primi secoli cristiani furono segnati dal martirio. All’alba del cristianesimo, deporre la propria vita in Gesù significava, in un contesto di minoranza osteggiata, accettare il rischio di perdere la vita come lui, per testimoniare il Vangelo. La Chiesa delle origini era fatta di comunità piccole, che venivano a formarsi nelle grandi città del tempo, riunite attorno all’Eucaristia.
Quando i cristiani cominciarono a diventare maggioranza e nacquero le prime comunità, le anticipazioni delle parrocchie, i preti si staccarono dalla convivenza col vescovo e andarono essi stessi a presiedere le nuove comunità, secondo modelli simili ai nostri attuali. Dal IV secolo in avanti noi abbiamo ereditato questo nuovo modo di essere Chiesa maggioranza, che si è tradotto in tante forme strutturali esteriori. La Chiesa si è ramificata in tutti i territori, coprendoli interamente con i propri servizi.
Nei secoli recenti, però, sotto i colpi della cultura moderna, la Chiesa ha cominciato a incrinarsi. Il magistero del secolo scorso, in particolare grazie al grande evento della Chiesa che è stato il Concilio Vaticano II, ha cominciato a prendere consapevolezza che occorresse ripensare la Chiesa non più secondo il modello della “cristianità” maggioritaria. Si è aperta la fase della “post cristianità”.
Dal Concilio sono trascorsi sessant’anni. È stata una lunga storia, ma oggi noi dobbiamo essere consapevoli di essere la stessa Chiesa di sempre, solo in modi rinnovati. Siamo tornati a essere una Chiesa più simile a quella degli inizi della vicenda cristiana.
La grande fatica che oggi dobbiamo affrontare è quella di ripensarci, non essendo più la totalità, forse neppure la maggioranza. Ritrovando la freschezza degli inizi, quando i cristiani erano una minoranza. Si tratta di passare a un altro modo di vivere il nostro essere comunità cristiana, che però non abbiamo ancora in mente e soprattutto non abbiamo nella carne.
Questa situazione può creare un po’ di sconcerto, un po’ di timore. Ma non deve crearne troppo, pensando che al centro della Chiesa, agli inizi come nella lunga stagione che abbiamo attraversato, rimane lo stesso Gesù Cristo, morto e risorto.
Nel mondo di oggi, e anche di domani, la Chiesa divenuta minoranza continuerà a collaborare in mille modi alla vicenda degli uomini e a intervenire laddove ci sono povertà e umiliazioni e questo accadrà solo nel nome del Vangelo di Gesù Cristo.
La Chiesa non è una comunità chiusa. Non esiste per sé, è la “città che sta sopra un monte”, è la lampada “sul candelabro”, Anche dove tace e dove è costretta a tacere, annuncia il vangelo per il semplice fatto di essere presente. Una Chiesa, una comunità cristiana, che si chiude in sé stessa si snatura e perde la sua ragion d’essere. Non ci deve interessare se siamo in grado di mantenere il numero di membri, se si riuscirà ancora avere le chiese piene, se si faranno ancora le tradizionali processioni… la vera domanda è se siamo ancora capaci di attrarre nuove persone. Il vero problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare sale che non ha più il sapore del Vangelo.
Oggi molti cristiani e comunità cristiane vivono in società non cristiane. Lo scorso mese di giugno sono ritornato in Camerun dove ho vissuto da missionario per nove anni. I cristiani lì sono la minoranza e sono circondati da mussulmani. Questo però non significa affatto che queste Chiese siano in crisi. Non si lamentano e ancor meno non condannano la società perché non è cristiana. E anche se le attività che svolgono sono limitate a causa delle circostanze, ciò non impedisce loro di essere pienamente presenti e attivi.
Come essere presenti senza illudersi di ricristianizzare la società?
La risposta la trovo nella proposta pastorale 2024/2025 del nostro Arcivescovo Mons. Mario Delpini. Così scrive: “Per dare forma alla comunità cristiana basta la Grazia: è lo Spirito che arricchisce dei suoi doni. (…) L’originalità cristiana si deve manifestare nella elaborazione delle decisioni, nella condivisione delle responsabilità, nella pratica del discernimento. (…) esigenze e formulazioni che rischiano di suonare retoriche o impraticabili, se non si impara un vero radunarsi per convocazione dello Spirito di Cristo”. “Ti basta la mia grazia; la forza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza”. 2Cor 12,7-10.
Dobbiamo essere presenti così! E questo, concretamente, significa che dobbiamo essere Chiesa facendo ciò a cui siamo chiamati: cercare Dio, ascoltare la sua Parola; rispondergli con la preghiera e la liturgia; vivere l’amore fraterno e nella solidarietà con chi, in un modo o nell’altro è nel bisogno. Una comunità non ripiegata su sé stessa, ma capace di diffondere all’esterno quanto sperimenta al suo interno.
In questo nuovo anno pastorale il Signore doni alla nostra Chiesa la grazia sufficiente per credere e perseverare nella missione. Se la fede e la Chiesa devono avere un futuro, il cristiano e la comunità dei fedeli devono fare “esperienze” personali di fede.
La fede non è soltanto una dottrina che viene da fuori, ma è una risposta che investe e trasforma il proprio cuore. Una Chiesa che contagi con quello che porta nel cuore, una Chiesa che irradi soprattutto la gioia, la bellezza della fede e la felicità di poter vivere nella semplicità del Vangelo.