Milano
Sono 4 le parole che l’Arcivescovo affida al “popolo” del Festival della Missione, riunito in Duomo per la celebrazione eucaristica conclusiva da lui presieduta. Concelebrata da 6 Vescovi – i monsignori Beschi di Bergamo, Gervasoni di Vigevano, Merisi, già vescovo di Lodi e il suo successore Malvestiti, Napolioni di Cremona e Vegezzi ausiliare di Milano – e da molti sacerdoti, tra cui il vicario episcopale Monsignor Bressan e il responsabile dell’Ufficio missionario diocesano, don Maurizio Zago, del Servizio di Pastorale giovanile, don Marco Fusi, dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti, don Alberto Vitali, la Messa, affollatissima in Duomo, è stata occasione per delineare gli auspici per il futuro dopo l’indubitabile successo registrato dalla 4 giorni della manifestazione. In prima fila, siedono le autorità, tra cui gli assessori Stefano Bolognini in rappresentanza della Regione e Marco Granelli per il Comune. «Festival significa festa: che nessuno lasci Milano dopo questo Festival senza avere un motivo personale o di gruppo per seminare gioia, ha detto, infatti, in apertura il vescovo Mario, prima del saluto introduttivo portato dall’ausiliaria diocesana Roberta Casola, impegnata nella Pastorale giovanile. «Ci raccogliamo qui attratti da Cristo che ci chiama a vivere per dono. Siamo Chiesa radunata da strade, esperienze, culture differenti e insieme desideriamo annunciarlo a tutti».
I cristiani: popolo del sì
Con quel cammino comune che l’Arcivescovo sintetizza, appunto in 4 espressioni: «la riconoscenza, la misericordia, la riconciliazione – noi siamo il popolo della pace – e la vocazione perché noi siamo il popolo dell’amen, del sì».
Stili di vita, questi, oggi spesso considerati originali, ma di quella originalità buona e feconda che appartiene ai cristiani, come sottolinea il vescovo Mario.
«I cristiani sono grati, sono lieti, rendono grazie, sono pieni di speranza, come scrive Paolo, in virtù della speranza e della consolazione che provengono dalle Scritture. Vivono rendendo grazie e non fanno il bene solo a coloro da cui si aspettano il bene, ma persino a coloro da cui ricevono il male. L’originalità cristiana è la conformazione al Dio Amore. La misericordia non si muove da un calcolo di efficacia, ma da una docilità allo Spirito; non è una ingenua accondiscendenza a qualsiasi capriccio della cultura contemporanea, ma annuncia e attesta un umanesimo della fiducia nell’umanità dell’uomo e nella fedeltà di Dio. La misericordia non è una specie di cura palliativa per fare dimenticare un mondo senza Dio, è ciò che semina e incoraggia perché ognuno giunga alla sua maturazione».
Essere dono per contrastare la rassegnazione al declino
E, poi, naturalmente il dono che è il per-dono tante volte risuonato al Festival. «I cristiani vivono per essere dono, fino al perdono. Abitano la terra per seminarvi la riconciliazione. Sono operatori di pace, perché non possono rassegnarsi all’ingiustizia, ma non ritengono che il rimedio all’ingiustizia sia la violenza, piuttosto credono che il rimedio all’ingiustizia siano la mitezza, la perseveranza, l’intercessione. I cristiani sono convinti che la vita sia vocazione: ascoltano la voce che chiama e rispondono sì». Sempre e comunque, anche se, talvolta, nota monsignor Delpini, «sembra di cogliere una specie di contraddizione: mentre si ascoltano con ammirazione e compassione le testimonianze di fratelli e sorelle che si fanno voce di Chiese che vivono, celebrano, sperano e soffrono in altri Paesi di questo piccolo pianeta, si insinua come un velo di tristezza, un senso di sconfitta, una specie di malinconia che copre tutto il racconto glorioso. Nelle nostre comunità cristiane d’Italia serpeggia un’intima persuasione di impotenza. Facciamo tante cose belle, ma manchiamo lo scopo per cui le facciamo: far conoscere Gesù, far percepire il suo amore, la sua attrattiva. Siamo contenti di aver vissuto la nostra vocazione, ma adesso non riusciamo a convincere che la nostra vocazione ha una meravigliosa attrattiva».
Tante esperienze della nostra Chiesa ambrosiana, italiana e forse anche europea, insomma, si percepiscono come quei rami secchi che il profeta Isaia rimprovera «rimproverando, quindi, anche le nostre comunità e ciascuno di noi, quando nell’intimo del cuore c’è la rassegnazione al declino».
«Accogliete il dono di Dio, lasciatevi condurre, voi tutti che non sapete dove andare, che non sapete come fare. Accogliete il dono, continuate a sorprendervi dalla manifestazione dell’opera che compie attraverso in Gesù».
Verso la Gmg
Un invito ripetuto al termine della celebrazione: «C’è un’intima radice di fiducia che accompagna tutti noi. Vivere per-dono, questo è il messaggio del Festival e il seme di futuro che ci viene consegnato». Insieme con i giovani, guardiamo alla Gmg come a quell’appuntamento da cui ci si aspetta una parola per questa Europa invecchiata. Viviamo per-dono e perciò andiamo in fretta (il titolo della Giornata 2023 di Lisbona) là dove il Signore ci chiama». Non a caso, al termine della Messa, Agostino Rigon, direttore generale della manifestazione che dice il suo grazie alla Diocesi e all’Arcivescovo, perché ci siamo sostenuti, incoraggiati, sentiti da subito parte di un’unica famiglia e di un unico destino», dona un sacchetto di semi all’Arcivescovo, come è stato fatto con tutti i relatori. 5mila i “semi di missione” distribuiti ai partecipanti, andati tutti subito esauriti. Segni pieni di significato, come la danza che all’offertorio della Messa eseguono alcune ragazzine dello Sri Lanka, nei loro costumi tradizionali, raggiungendo l’altare maggiore.
Un primo bilancio
Usciti dalla Cattedrale, la festosa Marching Band di ragazzi disabili accompagna i partecipanti dal sagrato del Duomo a piazza Vetra dove si svolge il concerto in cui si esibiscono significativamente insieme – un compositore e pianista russo, Alexey Kurbatov, e una cantante ucraina, Anna Tchikovskaya. Momento conclusivo di un vero e proprio successo per l’edizione del Festival svoltasi a Milano, la II, con i 29 incontri del programma principale che hanno registrato almeno 15mila presenze mentre altrettante – portando il totale a 30mila – sono state le persone che hanno seguito gli eventi del programma parallelo “Il Festival è anche” attraverso presentazioni di libri, mostre, laboratori, proiezioni e i fortunatissimi aperitivi in oltre 30 locali del centro città. Dove 120 missionari (religiosi e laici) hanno portato la loro testimonianza. Senza dimenticare gli oltre100 gli ospiti, italiani e stranieri, i 200 volontari e le 20 parrocchie e gli istituti religiosi che si sono mobilitati per l’accoglienza. 8 le piazze coinvolte (insieme ad altri luoghi significativi come l’Università Cattolica e il carcere di San Vittore) che si sono aggiunte ai due luoghi simbolo dell’evento, le Colonne di San Lorenzo e a Piazza Vetra.