Come deve essere la nostra Chiesa per essere fedele alla volontà del Signore?” “Quale cammino ci aspetta?”.
Sono queste le domande che il nostro Arcivescovo Mario Delpini rivolge a sé stesso per vivere il suo servizio di pastore della Chiesa di Milano e sono le stesse domande che condivide con le nostre parrocchie della Valceresio in una lettera scritta per noi lo scorso 4 dicembre e che troviamo pubblicata in questo numero de L’ARCO.
Le nostre comunità sono chiamate a fare un cammino di discernimento perché la chiesa sia pronta ad affrontare questo mondo che cambia. In verità è un mondo che ha già subìto un radicale cambiamento. Appunto, un cambiamento d’epoca, come non si stanca di dirci Papa Francesco. Tale espressione vuole segnalare una verità molto semplice: la differenza tra noi e i nostri genitori non sta nel semplice accumulo di cose che essi non possedevano (cellulari, auto ibride, Amazon…). Certo, sta anche qui. Ma la differenza reale sta nel fatto che noi compiamo i gesti della quotidianità – come lavorare, amare, pensare al futuro, educare, prendere cibo… – in un modo qualitativamente differente dal loro. Non viviamo cioè solo di altre cose, ma viviamo in un modo milioni di volte differente dal loro! Questo è il punto. È il modo di essere al mondo che è profondamente cambiato oggi.
Ecco il punto: viviamo in modo diverso. Viviamo in un mondo diverso. E i cristiani non possono far finta di niente o attendere che le cose ritornino al mondo di prima.
In ogni tempo i cristiani organizzano la propria presenza nella storia di modo che la vita di tutti possa fiorire grazie all’incontro con Gesù.
Ebbene, il nuovo modo di pensare e di agire oggi – il cambiamento d’epoca, in breve – fa saltare in aria la pastorale ereditata. S. Giovanni Paolo II, già nel 1990, nell’enciclica Redemptoris missio, scriveva: Oggi la chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l’annuncio di Cristo. C’è bisogno di una nuova evangelizzazione, o rievangelizzazione.
Non siamo più in un’epoca dove siamo maggioranza, ma spesso minoranza. Eppure, noi cristiani, fatichiamo a riconciliarci con questo e più che investire su ciò che c’è e formare quelli che ci sono, perché possano essere missionari convinti, l’attesa sia quella di riempire ancora spazi, convocare grandi numeri, organizzare grandi eventi. Ci viene chiesto un grande coraggio di pensare ad un nuovo modo di fare pastorale.
Papa Francesco nel suo messaggio per la giornata della pace dello scorso 1° gennaio ci ricorda che: Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; (…) Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?
In altri termini anche il nostro Arcivescovo nella lettera citata scrive: La Chiesa non “possiede il Vangelo”, ma è responsabile del suo annuncio a tutti. Il fatto evidente che molti non ricordino le parole di Gesù e la sua promessa della salvezza impegna i discepoli a cercare nuove vie per l'annuncio.
L’anno che si apre davanti a noi può essere il tempo favorevole per vivere tutto questo insieme. Nell’intraprendere questo “cammino insieme” di discernimento, di condivisione corresponsabile e di missione non chiudiamoci nei nostri recinti, ma apriamoci a ciò che già è presente fra noi e a ciò che lo Spirito sta suscitando e chiede a ciascuno di noi.
Solo uniti, con un cuore solo e un’anima sola e docili allo Spirito che ci spinge sulle vie della missione potremo dare un futuro alle nostre comunità.
Auguri di un buon anno nuovo nel Signore!
don Claudio