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«La guerra, una pazzia che porta a incomprensibili crudeltà»
Milano
«Popolo di Ucraina, popolo ferito, tribolato in tanti tempi della tua storia, popolo umiliato, vittima delle prepotenze, popolo fratello, preghiamo perché tu sappia che noi ti siamo vicini, che piangiamo con i tuoi pianti, che abbracciamo gli esuli, che vogliamo essere popolo della pace»: con queste parole l’Arcivescovo ha salutato i 1500 fedeli ucraini presenti in Duomo, insieme a tanti altri cristiani che, in un momento tanto doloroso, hanno voluto partecipare alla Preghiera per la Pace.

Le Confessioni presenti

Una preghiera a cui hanno aderito il Consiglio delle Chiese cristiane di Milano (19 le Confessioni rappresentate) e il Forum delle Religioni, e che era stata chiesta originariamente dall’Esarcato apostolico d’Italia della Chiesa greco-cattolica ucraina per ricordare il terribile sterminio per fame del popolo ucraino voluto da Stalin tra il 1932 e il 1933 – noto come Holodomor – che causò diversi milioni di morti. Ma senza dimenticare quanto sta accadendo oggi, come ha richiamato più volte l’Asarca, il vescovo Dionisij Ljachovič, giunto appositamente da Roma per l’occasione. Presenti, in altare maggiore della Cattedrale, i Ministri delle diverse Chiese (tra cui padre Ambrogio Makar, archimandrita del Patriarcato di Mosca, nativo del Donbass), monsignor Maurizio Malvestiti (Vescovo di Lodi e delegato della Conferenza Episcopale Lombarda per l’Ecumenismo), monsignor Luca Bressan (presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo della Diocesi), il diacono Roberto Pagani (responsabile del Servizio diocesano), monsignor Carlo Azzimonti (vicario episcopale per la Zona I), membri del Cem e del Capitolo metropolitano, sacerdoti impegnati nell’ecumenismo. Sotto le navate – tra tante bandiere gialloblu, simboli di pace, vesti tradizionali -, i partecipanti al rito, tra cui rappresentanti di diverse religioni e della Comunità di Sant’Egidio. Tutti accolti dall’Arcivescovo sul sagrato, dopo la processione dalla vicina basilica di Santo Stefano Maggiore, dove in precedenza era stata celebrata una Divina liturgia.

I gesti

Molti i gesti significativi e simbolici per questo «Moleben (Servizio di intercessione e di supplica, alla Santissima Madre di Dio»), nel quale si sono alternati l’ascolto della Parola di Dio, suppliche e versetti di poesia liturgica e Salmi in diverse lingue. È stato eseguito il canto Sub Tuum praesidium («Sotto la Tua protezione»), comune al rito ambrosiano e a quello bizantino e ortodosso. Particolarmente belle l’icona mariana settecentesca, di fattura orientale, posta a lato dell’altare.

Forte e commovente l’intervento dell’Arcivescovo. 

L’intervento dell’Arcivescovo

«In preghiera – ha esordito – per riconoscere che siamo impotenti, per dichiarare che siamo smarriti, come per dire che siamo feriti, tutti. In preghiera, però, per professare la nostra fede: se siamo impotenti, Dio ha rivelato la sua potenza che salva nella Pasqua di Gesù; se siamo smarriti, però Dio ci guida con la sua parola e la Santa madre di Dio ci indica la via; se siamo feriti, però Cristo è medico e ci cura. In preghiera per invocare il dono dello Spirito che converta le menti e i cuori di coloro che fanno la guerra. La guerra è una pazzia, è frutto di menti malate e chi fa la guerra diventa pazzo e commette incomprensibili crudeltà».«La guerra è un tempo in cui si scatenano mostri nascosti negli animi  – ha proseguito – e persone che fanno cose buone nella loro vita ordinaria, in guerra sono dominate da un furore, da un demonio che li rende capaci di opere demoniache. In preghiera perché sentiamo la fierezza di appartenere al nostro popolo con delle buone ragioni per una storia vissuta, per le prove attraversate, per i capolavori che attestano il genio. Ma la fierezza diventa una complicità con l’assurdo, se il proprio popolo fa cose assurde come la guerra. Perciò preghiamo per dichiarare un’appartenenza superiore che relativizza l’appartenenza al proprio popolo».

Da qui le espressioni dell’Arcivescovo, impossibili da dimenticare: «Prima di essere russo sono figlio di Dio, prima di essere ucraino sono figlio di Dio, prima di essere italiano sono figlio di Dio: nessuno impazzisca per essere fedele nel fare la guerra. Se gli uomini fanno la guerra, Maria, la donna, ci convinca a fare la pace; se gli uomini lavorano per la guerra, le donne lavorino per la pace. Rendo omaggio all’Esarca, che ci fa l’onore in Duomo di condividere la preghiera, a voi perché testimoniate la vostra fede, a tutti coloro che tra noi compiono le opere di misericordia, perché nessuno affamato sia senza pane, nessuno che soffre il freddo sia senza ciò che lo possa coprire. Rendo grazie a chi non rimane indifferente: siamo sognatori di una speranza, siamo operatori di pace perché siamo figli di Dio».

La riflessione dell’Esarca

Un ringraziamento sentito viene dal vescovo Ljachovič, che propone una sorta di parafrasi del Padre Nostro. «Che sia santificato il tuo nome – dice, infatti -, nel cuore e nell’intelletto degli uomini, in noi, nelle nostre famiglie e comunità, nel mondo intero; che venga il tuo regno dell’amore, della dignità e della luce, della pace e della vera giustizia. Che sia fatta la volontà di Dio, che diventi storia, vita dei credenti; che Dio possa essere tutto in tutti, la volontà di Dio è che possiamo avere la pace. Sì a Dio, al suo regno e alla sua volontà».

Una richiesta che si fa «grido», proseguendo nel Padre Nostro attraverso il «dacci oggi il nostro pane quotidiano», in chiaro riferimento al genocidio staliniano e al conflitto presente: «L’Holodomor continua come vedete in televisione ogni giorno. È la grande tragedia che vive normalmente l’Ucraina per un’aggressione ingiusta, pazza, sacrilega. Il maligno può impossessarsi delle persone, perché è capace solo di odiare, non di costruire, solo di distruggere, non di dare doni, di martellare la popolazione con missili e bombe. Non porta la luce, ma le tenebre, condanna alla fame e a morire di freddo. Preghiamo con grande forza: Padre nostro liberaci dal maligno e ricordaci il comandamento di amarci gli uni gli altri. Padre nostro, se qualcuno vuole uccidere me, non resisterò, ma se qualcuno vuole uccidere la mia patria, ho il dovere di difenderla da una aggressione ingiusta. Siamo chiamati a essere costruttori di pace anche a costo della nostra vita».

Il saluto della pastora Di Carlo

Un invito pressante a essere edificatori di pace venuto anche dalla presidente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, Daniela Di Carlo, pastora titolare della Chiesa valdese cittadina, che cita il «sogno» di Martin Luther King nel famoso discorso pronunciato nel 1963, definendo il senso di una precisa responsabilità dei cristiani e rivolgendosi direttamente ai fedeli ucraini: «Vogliamo continuare a sognare che, grazie alla fede in Gesù Cristo, la pace verrà. Le Chiese cristiane di Milano sognano che presto nel vostro Paese possano risuonare la libertà e la pace. Siamo con voi e con tutte le zone sulla terra che vivono i conflitti. Non siamo disposti ad arrenderci perché siamo fratelli e sorelle e abbiamo bisogno gli uni delle altre. Vogliamo pregare anche per chi ha responsabilità politica, perché Dio possa illuminare le loro menti, perché i cristiani e le altre religioni si facciano promotori delle ragioni della pace, della sorellanza e della fratellanza. Il Consiglio delle Chiese cristiane si dichiara contro ogni forma di violenza e di prevaricazione dei diritti e delle libertà fondamentali, perché la pace annunciata da Cristo possa realmente arrivare».

Infine la benedizione da parte di tutti i rappresentanti delle Chiese dall’altare maggiore, così come accade in Duomo l’1 gennaio di ogni anno, Giornata mondiale della Pace.  

  di ANNA MARIA BRACCINI dal portale della Diocesi Chiesadimilano.it 
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